La tragica morte di Emanuele D’Asta, giovane di soli 23 anni, ha scosso la comunità di Castel Volturno. Il ragazzo, sognava di sposare la sua fidanzata di 19 anni e insieme avrebbero dovuto iniziare una nuova vita nella villetta che stava ristrutturando per accoglierli dopo il matrimonio. Tuttavia, il destino ha voluto che quel sogno si spezzasse tragicamente. Mentre lavorava alla ristrutturazione della casa, un solaio ha ceduto, travolgendolo con calcinacci e macerie, uccidendolo sul colpo.
Emanuele, che faceva il rider e aveva due figli, aveva deciso di dedicarsi ai lavori nella casa per sistemarla prima delle nozze. Nonostante la giovane età, stava mettendo tutto se stesso in quel progetto, come dimostrato dal fatto che, nonostante le condizioni precarie della casa, l’aveva scelta per costruire un futuro insieme alla sua compagna. La villetta, in stato di degrado, era un riflesso di una zona segnata dal lento abbandono, con muri scrostati e pilastri logorati, un’immagine della triste decadenza che ha purtroppo segnato anche l’esito di questa storia.
Il 5 febbraio, il destino ha segnato una fine tragica: dopo una telefonata anonima ai soccorsi, gli operatori del 118 non hanno potuto fare altro che constatare la morte di Emanuele, trovandolo senza vita tra i detriti. Sul posto, oltre al suo corpo, non c’erano altri segni di vita, sebbene fosse evidente che il luogo fosse stato utilizzato da uno o più operai. La sua morte ha lasciato una comunità sconvolta e una giovane fidanzata distrutta dal dolore, che si vede ora privato di quel futuro che avevano tanto sognato insieme.
Le circostanze della morte di Emanuele D’Asta si fanno sempre più oscure. Secondo quanto riportato dal quotidiano Il Mattino, è altamente probabile che sul luogo del crollo ci fossero altre persone impegnate nel cantiere, ma che, dopo la tragedia, siano fuggite, lasciando dietro di sé solo il corpo del giovane e il caos della scena. Le indagini, condotte dai carabinieri sotto la direzione della Procura di Santa Maria Capua Vetere, si concentrano proprio su questo aspetto, cercando di fare chiarezza su un caso che presenta numerosi interrogativi.
Le prime verifiche, infatti, hanno evidenziato un dettaglio inquietante: a quell’indirizzo non risultavano lavori in corso ufficialmente autorizzati. Quello che appariva essere un cantiere attivo, con tanto di operai al lavoro, si è rivelato essere, invece, una sorta di “cantiere fantasma”, privo di regolare permesso e supervisionato. Un contesto di degrado e abusivismo che alimenta sospetti su come fosse organizzata la ristrutturazione della casa e su chi fosse davvero coinvolto nei lavori. La mancanza di autorizzazioni ufficiali e la fuga degli operai dopo l’incidente potrebbero complicare ulteriormente le indagini, ma il dolore per la perdita di un giovane padre, che stava progettando una nuova vita con la sua famiglia, rimane il nodo centrale di una vicenda che, purtroppo, ha segnato una tragica fine.
La Procura ha disposto l’autopsia sul corpo di Emanuele D’Asta, nella speranza che possa fare luce sulle precise cause del suo decesso, un passaggio fondamentale per chiarire quanto accaduto quel tragico giorno. Ma a fare da eco al dolore per la perdita di un figlio è stato il grido straziante della madre di Emanuele, che, arrivata sul posto e appreso della morte del figlio, avrebbe urlato sconvolta dalla morte del figlio per “50 euro al giorno“. Le parole della madre sono un atto di denuncia che sottolinea il dramma di un giovane lavoratore, probabilmente impiegato in condizioni precarie e poco sicure, tanto che il suo compenso giornaliero per la ristrutturazione dell’immobile si aggirava attorno a una cifra misera di 50 euro al giorno.
Questo dettaglio solleva ulteriori interrogativi sulle condizioni di lavoro in cui Emanuele era coinvolto. La sua morte non solo ha stravolto la sua famiglia, ma ha anche sollevato una riflessione dolorosa sulla precarietà del lavoro e sulla mancanza di tutele per i più giovani, che, come Emanuele, spesso si trovano ad affrontare impieghi ad alto rischio per un salario che non rende giustizia né al lavoro svolto né alla vita di chi lo svolge. Ora, le indagini continueranno a cercare di rispondere a queste domande, con la speranza che la verità emergente possa rendere giustizia alla memoria del giovane padre e lavoratore.
Un ulteriore dettaglio che emerge dalla vicenda riguarda la proprietà della casa in cui Emanuele stava lavorando: l’immobile, infatti, è di proprietà del padre della sua fidanzata, con cui il giovane stava per sposarsi. Questo particolare aggiunge una dimensione ancora più dolorosa alla tragedia, perché la villetta rappresentava per Emanuele non solo un luogo di lavoro, ma anche il simbolo di un futuro che avrebbe dovuto costruire insieme alla sua compagna, in una casa che avrebbe dovuto diventare la loro dimora matrimoniale.
Ora, mentre il dolore per la perdita si fa ancora più profondo per chi lo amava, le indagini dovranno fare luce anche su questo aspetto, cercando di comprendere in che modo si sono svolti i lavori e se, in qualche modo, la condizione della casa e la presenza di un “cantiere fantasma” possano aver contribuito alla tragedia. La morte di Emanuele ha scosso non solo la sua famiglia, ma anche quella della fidanzata, creando un vuoto incolmabile in una storia che avrebbe dovuto essere segnata dall’amore e dalla speranza per il futuro.