Il tour elettorale di Vincenzo De Luca negli ospedali campani prosegue senza sosta e durerà ancora a lungo. Solo nel corso degli ultimi giorni il Presidente ha fatto tappa a Montecorvino Rovella, a Pollena Trocchia, quindi a Marcianise, ad Avellino e infine a Salerno. E il canovaccio è sempre lo stesso, per ogni tappa c’è un miracolo da rivendicare o da annunciare accompagnato dai soliti strali all’indirizzo di “quelli di Roma” che senza voti pretendono di decidere il futuro della Campania. E giù gli applausi di una platea sempre ben addomesticata, diretta da direttori generali e sanitari, primari e personale infermieristico, consiglieri regionali e sindaci.
De Luca va avanti imbracciando il lanciafiamme, confida in una pronunzia favorevole della Consulta sul terzo mandato ma allo stesso tempo prepara il terreno per imporre le proprie condizioni al suo partito nel caso in cui la Corte costituzionale dovesse costringerlo al passo indietro. Ed è innanzitutto sulla sanità che deve passare all’incasso, perché quella è la principale leva di gestione, perché è nelle Asl e negli ospedali che si muovono i soldi e i voti che fanno la differenza. Oggi come ieri, come dieci o venti anni fa a certificare che nulla è cambiato.
Un’evidenza che da sola ci restituisce la misura del fallimento dello sceriffo, che fece della battaglia contro le ingerenze della politica nella sanità pubblica campana il tratto distintivo dei suoi rivoluzionari proclami, che promise di utilizzare il lanciafiamme per liberare Asl e ospedali dalla militarizzazione degli apparati. Un fallimento che tuttavia ci dice anche qualcosa in più, perché gli applausi che accompagnano ogni sortita di De Luca contraddicono l’evidenza, contraddicono tutti i report e le statistiche che spiegano meglio di qualsiasi editoriale qual è lo stato di salute del sistema sanitario campano: la nostra regione è ultima per numeri di medici ed infermieri in relazione al numero di residenti, è prima per migranti sanitari ed è in coda, con Sicilia e Calabria, per il monitoraggio sui Lea.
Ma De Luca se ne frega e va avanti, apparentemente incurante dai segnali che arrivano dai territori, in primo luogo dal suo Cilento, dove nel corso di questi ultimi giorni è accaduto l’inimmaginabile.
Innanzitutto la spaccatura tutta interna al Pd sulla presidenza del Parco Nazionale che ha portato ad una conta sanguinosa tra il sindaco di Ascea, indicato dalla segreteria provinciale, e quello di Omignano indicato da una cospicua pattuglia di dissidenti. Mai, almeno da dieci anni a questa parte, era accaduto qualcosa del genere e il fatto che la contesa abbia premiato il sindaco di Ascea non riduce la portata politica di uno strappo che nemmeno la presenza di Piero De Luca e di Lello Mastursi è riuscita a scongiurare.
Quindi, eccoci al secondo accadimento, la costituzione di parte civile deliberata dalla giunta di Capaccio Paestum nel processo contro il sindaco sospeso Alfieri, agli arresti dal tre ottobre scorso per turbativa d’asta e corruzione, che ad oggi non ha ancora mollato la fascia tricolore e, quindi, quella azzurra della Presidenza della Provincia. Una decisione che per logica andrebbe interpretata come un voto di sfiducia nei confronti del sindaco ai domiciliari ma che secondo una nota stampa dei diretti interessati andrebbe interpretata come un atto dovuto, posta la stima assoluta ed incondizionata che la vice sindaca facente funzioni e gli assessori nutrono nei confronti di Alfieri.
Di dovuto non c’è niente, evidentemente. Possiamo e vogliamo ritenere che si sia trattato di una scelta strategica, dovuta in termini di opportunità istituzionale e funzionale a blindare il percorso amministrativo e, quindi, la tenuta dell’amministrazione provinciale a pochi mesi dalle regionali. Dunque una scelta tanto strategica quanto disperata.
Uno smottamento senza precedenti che potrebbe aprire la strada ad una possibile quanto pericolosa emorragia nel cuore del sistema di potere deluchiano che ad altre latitudini, in primo luogo a Napoli e nell’area metropolitana, sull’asse Manfredi – Casillo, potrebbe assumere dimensioni ben più ampie. Uno smottamento che quantomeno certifica la debolezza di De Luca, in primo luogo al cospetto dei suoi soldati.